PARTECIPAZIONE VS ABBANDONO: NON UNA SEMPLICE PASSEGGIATA

Il giorno 19 Ottobre il gruppo di TS4 trieste secolo quarto si è unito alla “Passeggiata sull’abbandono” organizzata da TILT – Resistenze Autonome Precarie; partendo da Piazza Hortis abbiamo attraversato il Borgo Giuseppino, parte di Campo Marzio, per poi concludere il percorso nei pressi della villa Haggiconsta in Passeggio Sant’Andrea.

L’iniziativa fa parte di un insieme più ampio di incontri e passeggiate collettive, precedentemente organizzate in altri luoghi della città, con l’obiettivo di denunciare ed aprire un dibattito sulla questione degli spazi abbandonati e delle loro possibili destinazioni d’uso. In particolare, la passeggiata diventa uno strumento che consente di attraversare i luoghi con un’attenzione diversa e condivisa tra i presenti, rivolta agli immobili e allo spazio pubblico: oltre alle informazioni raccolte e presentate ad ogni tappa dai promotori, s’incorporano le riflessioni che derivano dal lasciarsi interpellare dal contesto stesso, in itinere.

Anche per TS4 la questione è centrale: sin dai primi tavoli di progettazione ci siamo interrogati su temi legati al patrimonio immobiliare e nello specifico al rapporto tra gli spazi abbandonati, lo spazio pubblico e qualità della vita di chi abita la città. Da tempo imperversa una crisi del mercato immobiliare, che si rivela ad esempio in una contraddizione: da un lato associazioni, collettivi, realtà in cerca spazi e dall’altro lo stato di abbandono o sottoutilizzo di molti immobili. Allo stesso tempo, si somma la grande spinta del settore turistico a Trieste, concentrato esclusivamente nel centro città, dove l’apertura ad investimenti immobiliari si orienta nella maggioranza dei casi in direzione di attività alberghiere, spesso di lusso. Questo processo rischia di svuotare il centro di altri possibili contenuti, socialmente distribuibili, oltre a creare un divario crescente tra un centro sempre più ricco e periferie sempre più escluse.

La larga partecipazione all’iniziativa di TILT dimostra come l’interesse verso questa tematica sia molto alto, specialmente da parte de* più giovani: molte le domande e perplessità emerse lungo il percorso, arricchite dalla ricerca di dati specifici su ogni immobile selezionato lungo la passeggiata.

Effettivamente, come prevedibile, molti di questi sono abbandonati da tempo e non vi è nessuna proiezione di recupero. In altri casi si tratta di edifici pubblici concessi al miglior offerente privato, che spesso rimanda di anni la gestione degli stessi, aspettando che il mercato offra possibilità di guadagno in settori particolari; altre volte i lavori di ristrutturazione vengono semplicemente lasciati a metà in corso d’opera, creando “vuoti urbani”.

TS4 trieste secolo quarto, oltre a solidarizzare con TILT, si è proposto – o meglio, è stato invitato –  a partecipare in modo attivo: alla fine del percorso abbiamo proposto a* partecipanti di interagire con una mappa della città, segnalando spazi verdi che potrebbero essere rivalorizzati, spazi pubblici “grigi”, sottoutilizzati e immobili abbandonati nei quali vedevano particolari potenzialità o destinazioni d’uso precise.

In molt* si sono avvicinati incuriosit*, specialmente dalla mappa elaborata in modo partecipato in occasione di Pedala Trieste che abbiamo posto come base per costruire quella nuova sugli spazi. È stata immediata l’associazione incrociata tra gli spazi e la mobilità in città, due temi che in effetti sono strettamente relazionati. Inoltre, gli spunti di riflessione e di conversazione si sono moltiplicati anche grazie all’interesse dimostrato verso l’attività generale di TS4, che quindi ci ha portati ad uno scambio di opinioni e spunti a partire dai risultati dei tavoli di progettazione, che abbiamo colto l’occasione di raccontare.

Sulla base delle segnalazioni proposte graficamente, unite alle discussioni, possiamo evidenziare alcuni punti:

 

  • È chiaro che il Porto Vecchio è un elemento centrale nel dibattito, che suscita un senso di denuncia per lo stato in cui riversa e per la sua (non) gestione, ma allo stesso tempo è motore di proposte creative e visioni costruttive. Nel caso specifico della segnalazione che ci è stata offerta, si parlava di un ostello o strutture di ricezione turistica a basso costo, considerando anche la sua vicinanza alla stazione dei treni e pullman;
  • Trieste è una città ricca di aree verdi urbane, dai giardini pubblici a zone di passaggio pedonali alberate, da angoli e cortili che negli anni hanno visto la vegetazione farsi strada a veri e propri parchi di antiche ville a volte in degrado. Un patrimonio che va riscoperto e valorizzato. In particolare, sono stati indicati:

– Un piccolo terreno alla base di via Moreri (Roiano), già ex giardinetto di quartiere;

– Il “Giardino liberato” nelle adiacenze della zona Urban: un’esperienza di recupero proposta da TILT su un’area verde abbandonata, con un gran potenziale data la sua collocazione tra case e vie del centro pedonale;

– Il passaggio di Vicolo dell’Edera e il vicino bosco comunale;

– Il boschetto di via del Veltro, di fronte alla Maddalena;

– Il parco del Circolo Ufficiali, in Via dell’Università;

– Legate al tema, sono state anche rilevate le due strutture/caselli all’inizio della Ciclopedonale Cottur, in disuso da tempo, poste proprio al via di uno dei corridoi verdi della città, che attraversa diversi quartieri, dal centro alla periferia;

  • Per quanto riguarda gli immobili, è stata indicata Casa Francol, già oggetto di dibattito cittadino a causa di un progetto di riqualificazione proposto dal Comune all’interno del Piano Urban, che poi non ha avuto alcun risvolto e di fatto ha lasciato l’edificio in totale stato di abbandono;
  • Anche i padiglioni dell’ex Opp, attuale Parco di San Giovanni, sono stati inseriti tra quei immobili e al contempo strutture immerse nel verde urbano che possono presentare ancora molte possibilità di recupero e azione. Nonostante la sua evoluzione negli anni e le tante realtà che ospita al giorno d’oggi, nel Parco vi sono alcune strutture che versano in stato di degrado, sulle quali non vi sono, al momento, dei piani specifici di riqualificazione;
  • In generale, gli spazi individuati si distribuiscono su tutta l’area urbana, senza far risaltare un quartiere piuttosto che un altro, dimostrando come la problematica legata agli spazi abbandonati e sottoutilizzati abbraccia la città intera e può quindi cercare risposte e forme d’azione in un discorso collettivo, a partire dalla cittadinanza stessa che abita questi luoghi e interpellando ed esigendo risposte da i diversi attori coinvolti, istituzionali e privati.

Un valore aggiunto al momento di confronto è stata una conversazione con alcune persone che si sono stabilite da poco a Trieste; per TS4, che si pone la questione delle ragioni che portano a vivere in questa città, che incentivano a restare, così come a lasciarla, è stato prezioso riscontrare che iniziative come quella di TILT e il percorso di TS4 sono fondamentali per poter scoprire, conoscere la città, per potersi costruire un’idea di cosa accade e magari collaborare per affrontare le criticità.

SCRIVIAMO INSIEME IL FUTURO DELLA MOBILITÀ TRIESTINA

«Quale percorso fai – o vorresti fare – in bicicletta e pensi dovrebbe essere reso più sicuro per ciclisti (e pedoni)?»

Armate/i di questa semplice domanda, una grande carta della città e quattro pennarelli rossi ci siamo presentate/i a Pedala Trieste, la grande festa della bicicletta organizzata ieri da FIAB Trieste Ulisse, SPIZ, Bora.La, ADS Cottur, UISP e da noi di TS4. La partecipazione alla giornata – un serpentone di 400 cicliste/i che ha attraversato i principali assi stradali di Trieste – ha confermato le nostre migliori aspettative, dimostrando che in città la domanda di mobilità dolce e sostenibile è più alta di quanto il dibattito pubblico – e i dislivelli altimetrici – facciano pensare.

All’arrivo della pedalata, nella Pineta di Barcola, abbiamo accolto le/i partecipanti con un punto di raccolta nel quale chiunque, con il nostro aiuto, poteva segnare il proprio percorso desiderato. I tracciati eventualmente già segnati da altre/i sono stati rimarcati. Ne è nato uno scambio molto interessante, che ha coinvolto una trentina di cicliste/i e ha prodotto le seguenti indicazioni:

I risultati della raccolta al termine di Pedala Trieste. Clicca sull’immagine per visualizzarla a schermo intero

I percorsi più gettonati sono proprio quelli del cosiddetto “pi greco”, ovvero il sistema che dovrebbe rendere più percorribile dai ciclisti l’asse “a mare” (idealmente da Miramare a Muggia, connettendo anche l’area del Porto Vecchio) e i due assi di penetrazione in alcune delle valli più popolate di Trieste (Via Giulia e Viale D’Annunzio);

– È stata segnalata da diverse persone anche la necessità di connettere in maniera migliore i (pochi) chilometri di piste già esistenti con il resto della rete stradale. Al centro dell’attenzione la pista Cottur, che potrebbe essere potenziata collegandola con percorsi sicuri per le bici a sud (con Via Costalunga, Via Brigata Casale e Cattinara/Melara) e a nord (con Via San Marco e Via San Michele);

– Non solo piste ciclabili: le/i partecipanti hanno infatti anche segnalato l’esigenza di individuare Zone 30 dove il rallentamento del traffico veicolare permetta una maggiore convivenza tra mezzi a motore, bici e pedoni. Le due aree indicate, Roiano e Ospedale/Via Conti/Via Settefontane, sono solo alcune di quelle che potrebbero essere coinvolte da progetti del genere;

– Diversi tracciati indicati – soprattutto, ma non solo, quelli che collegano la città con l’Altipiano – potrebbero essere caratterizzati dalla possibilità di caricare la bici a bordo dei mezzi pubblici, con l’installazione di apposite rastrelliere, per superare agevolmente i dislivelli altimetrici ed estendere le possibilità di ciclabilità tra città e Carso. Anche le gallerie come quella di Montebello potrebbero essere affrontate con questa strategia;

– Sono stati proposti anche percorsi ex novo, ad esempio quello che potrebbe connettere Banne con l’Area di Ricerca, il Sincrotrone e Basovizza correndo più o meno in parallelo all’autostrada. Ma anche quello che da Sottoservola potrebbe connettersi all’area del Canale Navigabile costeggiando l’area che si spera sarà interessata dalla riconversione della Ferriera a piattaforma logistico/produttiva. In questo modo il percorso da Trieste a Muggia diventerebbe ancora più agevole, sfruttando l’area pianeggiante che si affaccia sul Vallone;

– Infine, nel corso delle conversazioni con le/gli intervenuti sono stati indicati anche alcuni snodi particolarmente delicati, che richiederebbero maggiori attenzioni nel caso in cui il “traffico” ciclistico aumentasse nel prossimo periodo. È stato segnalato ad esempio lo snodo tra la Stazione, Via Ghega e Piazza Dalmazia/Oberdan, che potrebbe vedere una differenziazione del traffico tra Via Ghega e Via della Geppa. Un altro punto critico è stato individuato in Viale Campi Elisi, con la pista che attraversa la rampa di accesso alla Sopraelevata;

La necessità di puntare sulla mobilità sostenibile e sull’integrazione tra trasporto pubblico, spostamenti a piedi e in bici, è emersa con forza anche nei tre scenari sviluppati dai nostri gruppi di lavoro, ovvero i tre regali che presenteremo per la prima volta alla città il 4 novembre ad Hangar Teatri. È sempre una bella soddisfazione scoprire che le nostre visioni siano in sintonia con una parte consistente della cittadinanza. Speriamo di poter replicare questo esperimento in futuro anche su tanti altri temi, perché il quarto secolo di Trieste è una storia ancora tutta da scrivere, insieme.

TRIESTE E IL SUO PORTO, UNA STORIA MOBILE

Riportiamo un estratto dell’articolo, firmato da Isabella Mattazzi, apparso su Il Manifesto del 10 Agosto 2019. Qui l’articolo completo.

Quando nel 1751 D’Alembert scrive il Discorso preliminare all’Encyclopédie, immagina la sua opera come una grande rete, un labirinto di tracciati del tutto sovrapponibile a una mappa stradale in cui il lettore sembra potersi muovere lungo infinite direzioni, spostandosi da un punto all’altro del sapere attraverso una molteplicità di scelte. Quello che sarà il più grande progetto culturale della modernità si rappresenta così, fin dal suo esordio, sotto forma di un sistema mobile, in cui lo scambio, il movimento, il flusso di idee diventano l’unica condizione necessaria per la costruzione della conoscenza.

Ma che tipo di rete poteva avere sotto gli occhi D’Alembert mentre scrive il Discorso preliminare? Qual era il modello più immediato e concreto di rete per un uomo del Settecento?

Le strade del servizio postale sono il primo oggetto, in Francia, a essere rappresentato dalla cartografia tematica moderna. Stazioni di cambio dei cavalli, distanze in leghe, diventano il linguaggio quotidiano per descrivere il mondo. Anche il mare si trasforma. Il 18 marzo 1719, Carlo VI elimina i dazi doganali all’intero del porto di Trieste, dichiarandolo Porto franco.

Se apparentemente questa può sembrare una semplice agevolazione commerciale, a partire dal XVIII secolo si inizia a capire che lo sviluppo di una società si produce non soltanto grazie all’economia, ma anche grazie a un continuo scambio di esperienze e di saperi, ai risultati legati alla mobilità delle persone e alla facilità con cui vengono accolte.

(…)

L’immagine, dell’archivio storico del Lloyd Triestino, è tratta da qui

MILLE CUORI, UN SOLO BATTITO

di Sofia Pavanini

Mi sono trasferita a Trieste poco meno di quattro anni fa, per frequentare l’università. Ancora prima di arrivarci, poter studiare a Trieste voleva dire per me raggiungere un piccolo sogno, quello di cominciare il corso di laurea in lingue per interpreti e traduttori, eccellenza italiana ed europea, per il quale ero riuscita a passare il test di ammissione. A Trieste e grazie a Trieste ho imparato, come molti altri studenti che qui si trasferiscono per lo studio, a vivere da sola, a muovermi e a cogliere tante preziose opportunità.

Talvolta, quando entro o esco dal Narodni Dom, l’edificio in via Filzi che oggi ospita la Sezione di Studi in Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori, mi soffermo a pensare davanti alla targa affissa sulla facciata che commemora l’incendio dello stesso edificio perpetrato da mano fascista il 13 luglio 1920. All’epoca, l’edificio ospitava l’Hotel Balkan, vari uffici e una sala teatrale, e simboleggiava la forte presenza della comunità slovena a Trieste, e, per questo, era stato preso di mira dalla sete di annientamento e di odio di stampo fascista. In questi momenti di riflessione, mi sale un brivido a pensare che oggi, quello stesso edificio andato in fiamme, incarna uno spirito di multiculturalismo e condivisione. Il Narodni Dom è vissuto ogni giorno da centinaia di studenti provenienti da tutta Italia e da tutta Europa, che imparano a convivere, a comunicare, a mettersi nei panni degli altri. Tentiamo di capire la delicata attenzione necessaria per adattare la nostra lingua alle esigenze di chi abbiamo di fronte. Studiare le lingue, soprattutto dal punto di vista della traduzione e dell’interpretazione, vuol dire sporgersi verso l’altro, avvicinarsi al suo modo di leggere e dipingere il mondo. È la comprensione di questo fragile legame che permette di sconfiggere la mentalità di chi ci vuole tutti uguali, di chi calpesta
le minoranze e la diversità.

Il Narodni Dom è solo uno dei luoghi d’incontro presenti a Trieste, città popolata da tante anime differenti, che arricchiscono la vita della città. Luoghi che andrebbero conosciuti, ampliati e valorizzati.
Invece, negli ultimi tempi, Trieste è stata investita da alcune derive pericolose, dall’apertura della sede di Casapound alla polemica scoppiata attorno alla concessione del patrocinio del Comune al FVG Pride. Senza dimenticare l’opposizione dell’amministrazione comunale alla locandina, considerata “troppo forte”, della mostra “Razzismo in cattedra” realizzata dagli alunni del Liceo  Francesco Petrarca in occasione degli 80 anni dalla promulgazione delle leggi razziali. Si tratta di gravi passi indietro, che potrebbero sconfinare nella paura dell’altro, e quindi anche in odio e discriminazione. I diritti sono tali solo se sono di tutti, come è di tutti questa città, che deve essere resa viva dai suoi tanti cuori.

TS4 trieste secolo quarto parte proprio da qui: dalla necessità di ascoltare il battito di tante persone, di età, provenienza e formazione molto variegate, animate però dalla stessa speranza, quella di poter tornare a vivere serenamente la città, per dare una nuova forma ai suoi spazi liberando tante idee. Sono convinta che ascoltare e capire i bisogni delle persone, organizzando punti di aggregazione e di confronto, sia il modo più autentico ed efficace di fare politica nel vero senso del termine, ovvero contribuire alla vita della polis, della comunità. Le prime sedute hanno dimostrato la forza scaturita dalla diversità dei
partecipanti al progetto, che forse rappresentano anche le sfaccettature della popolazione di Trieste. È sempre emozionante entrare a contatto con persone animate da una stessa sensibilità: è un’esperienza che consente di capire che un problema può essere analizzato secondo molti aspetti diversi e portare all’elaborazione di soluzioni originali e talvolta sorprendenti.

Per me studiare lingue ha sempre voluto dire anche mettersi in gioco, e ho trovato in TS4 trieste secolo quarto l’opportunità di farlo ridando a Trieste ciò che lei mi ha regalato e che mi continua a donare ogni giorno: libertà, conoscenza e curiosità.

CONFLITTO ED INNOVAZIONE ALLA FRONTIERA: FARE SPAZIO A TRIESTE

di Riccardo Laterza

Molti osservatori concordano nell’indicare nella dimensione dei Municipi la base progettuale per la costruzione di un modello di cooperazione europea radicalmente diverso dallo stato corrente dell’Unione. E Trieste, con la sua radicata tradizione municipalista, è una città che ha molto da offrire a questa riflessione. Ciò che più colpisce non è tanto lo specifico assetto istituzionale; Trieste si donò infatti liberamente all’Impero Asburgico con la Dedizione del 1382 e da allora fino alla fine dell’Impero fu collocata in una continua tensione tra poteri locali e comando centrale, particolarmente inaspritasi con l’emergere dei nazionalismi nella seconda metà dell’Ottocento.
Balza all’occhio piuttosto la caratteristica della città come campo di sperimentazione di relazioni innovative tra quella che oggi chiameremmo la Pubblica Amministrazione e altri poteri. Non è un caso che la città emporiale, eretta dopo la concessione del Porto Franco nel 1719, si sia sviluppata con forme di governo autonome dal vecchio e decadente patriziato cittadino, dando impulso a un travolgente sviluppo economico.

L’articolo completo è stato pubblicato sul primo numero della rivista Luoghi Comuni, edita da Castelvecchi. L’intero numero è consultabile qui