IN MOVIMENTO VERSO IL QUARTO SECOLO: COSÌ STIAMO RIPENSANDO LA CITTÀ

di Riccardo Laterza

Si è da poco conclusa la fase di progettazione partecipata di TS4 trieste secolo quarto, che costituisce il momento centrale del progetto con il quale abbiamo deciso di festeggiare il 300mo compleanno della nostra città. I tre regali che abbiamo confezionato collettivamente, ragionando su tre prospettive di sviluppo di Trieste nella sfera dell’economia e della produzione, della qualità della vita e degli spazi urbani, delle relazioni della città con i dintorni, saranno presentati alla città nel corso della quarta (e – per il momento – ultima) fase del progetto, a partire dall’autunno. Nel frattempo, però, vale la pena di fare il punto su quanto siamo riusciti a fare nel corso di questi mesi, ovvero nelle circa 45 ore di confronto, approfondimento, rielaborazione, in cui 33 triestine e triestini si sono cimentate/i in uno sforzo di immaginazione civica, di condivisione delle conoscenze e di progettazione cooperativa.

Riassumere gli ultimi mesi di TS4 trieste secolo quarto non è semplice, perché nonostante strumenti e metodologie utilizzate in questo tratto di percorso non abbiano nulla di particolarmente innovativo in termini assoluti, un processo del genere non ha alcun precedente per Trieste. La cosa risulta ancora più significativa a fronte del deserto di partecipazione politica di cui la città sta avendo esperienza negli ultimi anni. Poco più di tre anni fa, l’attuale Sindaco Roberto Dipiazza veniva eletto con il 24% dei voti degli aventi diritto; due anni dopo, alle elezioni regionali si è toccato il record del 57% di astensione. Dei 747 candidati che hanno stampato la propria faccia su santini, volantini e manifesti nella speranza di essere eletti in Consiglio Comunale tre anni fa si possono contare sulle dita di poche mani quelli che hanno continuato ad interessarsi attivamente della cosa pubblica e del futuro della nostra comunità.

Insomma, il nostro esperimento prova ad andare in controtendenza con la crescente disaffezione verso la politica, percepita come qualcosa da cui difendersi piuttosto che qualcosa cui partecipare attivamente, e con la crescente fortuna – che confidiamo sia molto fragile e destinata a schiantarsi contro la realtà dei fatti – verso i leader soli al comando e le loro retoriche violente e semplicistiche. Stiamo provando a fare politica fuori dalle concezioni, dalle logiche e dai linguaggi con i quali la politica è stata (dis)fatta negli ultimi decenni. Per questo, per raccontare quello che è stato – e quello che sarà – TS4 trieste secolo quarto potrebbe essere utile affidarsi alle parole di un ‘esterno’: un esponente non del mondo della politica, ma di quello del design.

Bruce Mau è un celebre designer della comunicazione canadese. Fondatore del Massive Change Network (Chicago) e dell’Institute Without Boundaries (Toronto), ha sempre esteso i suoi interessi al mondo dell’architettura, dell’arte e del cinema, della fotografia e del design ecosostenibile. Il suo Incomplete Manifesto for Growth, 43 tesi messe nero su bianco nel 1998 per orientare la nuova generazione di designer alla sua filosofia della/sulla creatività, è ancora oggi uno dei testi più celebri nel suo ambito. Alcune delle sue parole – qui nella traduzione in italiano a cura di Gianluigi D’Angelo – descrivono perfettamente anche il nostro percorso fino ad oggi.

 

9. Cominciate da dove vi pare. John Cage ci ha insegnato che non sapere da che parte cominciare è una forma comune di paralisi. Il suo consiglio: cominciare da dove vi pare.

Abbiamo cominciato in un assolato pomeriggio della scorsa estate. L’occasione grazie alla quale un piccolo e variegato gruppo di persone si incontrò per la prima volta al tavolo di un bar di San Giacomo era l’imminente 300mo anniversario della proclamazione del Porto Franco di Trieste. Certo, un passaggio storico importante, ma anche – soprattutto? – un pretesto per pensare alla nostra città in maniera diversa dal commento passivo all’ultima notizia di cronaca locale. Abbiamo cominciato dunque agganciandoci a un evento lontano nel tempo, come in verità spesso capita in una città come Trieste, ricca di storia e disperatamente in cerca di futuro. Il punto è che abbiamo provato a non fermarci lì. Potevamo iniziare da dove ci pareva, seguendo le parole di Mau: abbiamo scelto di iniziare da una dimensione locale, la più accessibile date le nostre (poche) risorse; ma anche la migliore per mettere a confronto le grandi crisi e le grandi opportunità globali con le nostre esperienze quotidiane, per iniziare a trasformare la realtà nella quale viviamo senza perdere di vista il quadro più complessivo.

 

42. Ricordate. La crescita è possibile solo come prodotto di una storia. Senza memoria, l’innovazione è semplicemente una trovata alla moda. La storia dà alla crescita una direzione. Ma la memoria non è mai perfetta. Ogni tipo di ricordo è un’immagine sfuocata o frammentaria di un momento o di un avvenimento. Questo è ciò che la rende identificabile come passato, in contrapposizione al presente. Vuol dire che ogni ricordo è nuovo, una ricostruzione parziale, diversa dall’originale e, come tale, un ingrediente della crescita.

La storia della nostra città può essere, a nostro parere, il miglior carburante per stimolare ragionamenti e azioni posizionate nel presente e orientate al futuro. Molto spesso a Trieste la memoria è esclusivamente nostalgia; altrettanto di frequente, la memoria privata è inevitabilmente contrapposta alla memoria altrui in una prosecuzione dei conflitti del passato con altri mezzi. Genera incomunicabilità, più che connessioni. Rimescolare identità consolidate (e consolatorie) e far cambiare prospettiva a una città che troppo spesso volge il suo sguardo esclusivamente all’indietro – che è poi la direzione che indica gran parte della classe politica – era ed è un obiettivo per noi prioritario.  

 

19. Lavorate sulle metafore. Qualsiasi oggetto ha la capacità di rappresentare qualche cosa d’altro rispetto a quello che appare. Lavorate su quello che esso rappresenta.

TS4 trieste secolo quarto, all’inizio, rischiava di evolvere in un progetto piuttosto banale. A salvarci dal replicare l’ennesimo ciclo di conferenze sono intervenute due intuizioni provvidenziali. La prima, concepire TS4 come uno spazio di partecipazione (ci arriveremo dopo); la seconda, concepire l’anniversario come il compleanno della città, di una città tutto sommato giovane, perché tre secoli sono pochissimi e Trieste ha tutta la vita davanti. L’articolazione successiva di questa metafora ci ha portato a identificare il possibile risultato del percorso di TS4 trieste secolo quarto come una serie di regali. Ed è qui che la metafora svela la sua potenza. Non siamo gelosi delle idee che abbiamo messo a sistema, né delle proposte e delle progettualità che in futuro potranno emergere dalla prosecuzione del percorso. Le doniamo alla città perché crediamo che la condivisione sia un gesto non solo altruista, ma anche cruciale per lo sviluppo di Trieste. Chiunque potrà accedere ai nostri risultati, rimaneggiarli, discuterli, criticarli, ma soprattutto metterli in pratica. Ci sarà la possibilità di farlo dall’alto – ovvero dalle istituzioni, ammesso che chi le occupa attualmente sia veramente interessato alle sorti della città – così come dal basso. Speriamo che siano in tante e tanti a prendere in considerazione questa seconda opzione.

 

4. Amate i vostri esperimenti, come fareste con un bambino cattivo. La felicità è il motore della crescita. Sfruttate la libertà di organizzare il vostro lavoro come una serie di esperimenti, ripetizioni, tentativi, prove ed errori, tutti altrettanto belli. Vedete le cose alla lunga distanza e permettetevi di sorridere sulle sconfitte quotidiane.

È una speranza che magari sarà frustrata nella realtà. Ma anche questo farebbe parte del gioco. Di un esperimento cioè che agisce, come già anticipato in premessa, nella tabula rasa di una politica locale incapace di rispondere alle aspettative di un numero crescente di persone. Su quel piano non c’è veramente nulla da perdere. Mentre c’è tutto da guadagnare dall’altissimo numero di organizzazioni, associazioni, comitati, gruppi, singoli, che nella loro azione quotidiana in città, nei rioni, nelle scuole e all’Università, nei luoghi di lavoro, negli enti culturali e scientifici, esprime un impegno sociale che è, molto spesso, politico, se fare politica significa trovare soluzioni collettive a problemi collettivi.

 

3. Il percorso è più importante del risultato. Quando è il risultato a pilotare il processo, arriveremo soltanto dove sono già arrivati gli altri. Se è il processo a guidare il risultato potremmo non sapere dove stiamo andando ma saremo sicuri del fatto di volerci andare.

Tornando alla prima intuizione che ha mosso i primi ingranaggi di TS4 trieste secolo quarto: abbiamo pensato che fosse giunta l’ora di considerare la partecipazione come un fine e non semplicemente come un mezzo. Si tratta di un passaggio non scontato e forse contraddittorio. Non abbiamo uno sguardo naïve, che concepisce le soluzioni ‘partecipate’ come intrinsecamente migliori di quelle individuate in altro modo. Il punto però è che i processi partecipati aiutano a fare una cosa che la politica tradizionale non riesce più a fare: costruire legami, diffondere conoscenza, generare fiducia negli altri e, dunque, nell’utilità/efficacia dell’azione collettiva che insieme ad altri si può portare avanti. La partecipazione dovrebbe essere una premessa scontata, ma diventa un obiettivo in un contesto in cui alcuni fanno politica dall’alto sulla pelle e sulle vite delle persone, mentre altri pensano sia sufficiente, una volta al governo, prendere provvedimenti ‘per’ le persone e non ‘con’ le persone, distaccandosi progressivamente dalle vite quotidiane di quelle stesse persone che ambiscono a rappresentare.

 

22. Createvi gli strumenti di lavoro. Combinate i vostri strumenti per realizzare dei ‘pezzi unici’. Anche gli strumenti più semplici di cui siete in possesso possono aprirvi nuove strade inesplorate. Ricordate che gli strumenti amplificano le nostre potenzialità, per cui, anche piccoli strumenti possono determinare grandi differenze.

Abbiamo così iniziato a definire, a partire da conoscenze ed esperienze pregresse e procedendo per ipotesi e tentativi, un metodo, basato su quattro aspetti principali: una raccolta dati che fungesse essa stessa da spazio interattivo e di partecipazione; momenti di animazione sociale e culturale, come il compleanno di Trieste, che facessero emergere la forza delle metafore sopra citate; la metodologia dei tre orizzonti, che prevede la formulazione di scenari e l’individuazione di strumenti e attori necessari per transitare dallo status quo allo scenario ottimista; la collocazione nello spazio e nel tempo di tali strumenti. Si tratta, in larghissima parte, di metodologie consolidate che abbiamo riadattato per l’occasione seguendo i nostri bisogni ma anche le nostre (scarse) risorse, nonché la scelta di concentrare il percorso in un lasso di tempo relativamente breve. Ma si tratta anche di un processo modulare, che potrà essere replicato in varie occasioni e seguendo vari filoni tematici in futuro (è proprio quello che vogliamo fare).

 

40. Evitate le specializzazioni. Scavalcate le staccionate. I confini tra diverse categorie e le regole imposte da ordini o associazioni professionali sono tentativi di controllare lo sviluppo caotico della creatività. Spesso, sono sforzi comprensibili, finalizzati a mettere ordine in quello che è un insieme variegato e complesso, in continua evoluzione. Il nostro compito consiste nello scavalcare questi steccati per tagliare in mezzo ai campi.
16. Collaborate. Lo spazio tra persone che lavorano insieme è pieno di attriti, controversie, lotte, euforia, gioia e di un immenso potenziale creativo.
10. Ognuno è un leader. La crescita si verifica e, quando ciò accade, dovete permetterle di svilupparsi. Imparate a seguire, quando è ragionevole. Lasciate che tutti possano avere l’opportunità di fare da guida.

In questi tre estratti si condensa una buona rappresentazione dello spazio progettuale che si è creato a seguito della definizione dei tre gruppi di lavoro (su economie, spazi, relazioni) per i quali 56 persone avevano fatto domanda di partecipazione. La scrematura è stata effettuata, di fatto, in base all’effettiva possibilità da parte di queste persone a partecipare alle sedute di progettazione, tra impegni lavorativi e familiari. Anche questo aspetto, apparentemente secondario, solleva una questione non da poco: e cioè che per poter fare politica serve tempo libero e freschezza mentale, due cose cui l’attuale modello di lavoro e di vita tende a non lasciare spazio. Nonostante questo ostacolo, i 33 partecipanti alla fase di progettazione hanno saputo generare una contaminazione tra diversi saperi, ambiti professionali, esperienze, discipline; uno spazio di fiducia e cooperazione, senza capi, con una facilitazione molto leggera e una vera e propria leadership collettiva del processo, che ha molto a che fare con la questione del potere. In questo caso il potere come verbo, ovvero poter immaginare – e, si spera nel futuro prossimo, poter mettere in pratica – un’altra idea di città e di società. A proposito del potere, Michela Murgia nel suo libro Futuro Interiore scrive che «c’è una paura diffusa di questa parola, come se avesse in sé una connotazione oscura, uno spirito da cerino acceso che si vorrebbe sempre far girare, mai trattenerlo, affinché si spenga in mano a qualcun altro. È invece una parola di cui farsi carico, perché un pezzo di potere ce l’abbiamo in dote tutti».

 

41. Ridete. La gente che viene a trovarci in studio, spesso, ha da dire su quanto si ride qui dentro. Mi sono abituato a queste osservazioni e le prendo come un indicatore di quanto siamo a nostro agio nell’esprimere noi stessi.

Per chi è arrivato fin qua, è il momento di alleggerire la lettura. Se guardate le foto di alcune delle nostre sedute, vedrete un sacco di sorrisi, e anche diverse risate. Vi assicuriamo che abbiamo parlato (anche) di cose serissime, e non sempre con uno sguardo ottimista sulla realtà. Tuttavia, il metodo sviluppato in questi mesi ha svelato un’altra piacevole sorpresa: che la politica può – deve? – essere una cosa che diverte, in generale che mobilita non solo le intelligenze e la razionalità ma anche le emozioni – possibilmente quelle positive, non solo la rabbia e assolutamente senza generare ulteriore rassegnazione, in giro ce n’è già a sufficienza –. Molti di noi ridevano forse per qualche battuta o gaffe; siamo convinti che qualche sorriso sia scappato anche grazie alla consapevolezza di star facendo non solo una cosa giusta e utile, ma anche una cosa bella.

 

1. Lasciate che gli eventi vi cambino. Dovete aver voglia di crescere. La crescita non è qualche cosa che vi capita, siete voi a produrla, siete voi che la vivete e il prerequisito fondamentale per crescere è l’apertura a vivere gli avvenimenti e la volontà di farsi cambiare da essi.

Fin qua, quello che è successo. Quello che avverrà dall’autunno in poi, quando sarà disponibile anche un report che descriverà nel dettaglio i risultati raggiunti dai tre gruppi, è ancora tutto da scrivere. Pensiamo a diversi momenti di restituzione, che fungano da ulteriori luoghi di confronto con tante altre persone – la cittadinanza in generale, gli abitanti dei rioni dove avremo la possibilità di intervenire, portatori d’interesse, esperti –. Ci confronteremo con loro a partire dalle nostre riflessioni ma con la forma aperta e collaborativa che ci caratterizza. Non pensiamo di avere nessuna verità in tasca, riteniamo invece di avere l’energia per provare a scuotere parti crescenti di città, con un obiettivo – provare a rendere concrete alcune delle nostre idee, o altre che emergeranno da questi nuovi confronti – e con una speranza ancora più grande: stupirci ancora tante volte di cosa possa generare la connessione di tante altre menti e tanti altri cuori, di quanto potente possa essere la partecipazione attiva di tante altre persone preoccupate e/o speranzose per il futuro della nostra città. Il quarto secolo di Trieste, d’altronde, è una storia ancora tutta da scrivere.

 

30. Organizzazione = Libertà. Le vere innovazioni, nel design, ma anche negli altri campi, avvengono in un ambiente. L’ambiente è solitamente una forma di attività diretta in modo collaborativo. Frank Gehry, per esempio, ha potuto realizzre Bilbao solo perché il suo studio è in grado di gestire il progetto in tempi e costi prefissati. Il mito della divisione tra “creativi” e amministrativi” è ciò che Leonard Cohen definisce una “graziosa invenzione del passato”.

Confidare nell’attivazione di tante e tanti altre/i significa anche non perdere di vista una questione fondamentale: concepire un meccanismo collettivo all’altezza di questa sfida. Anche questo è un foglio tutto sommato ancora bianco, popolato forse di qualche schizzo emerso nel corso della progettazione, ma che sarà necessario delineare e concretizzare con rapidità. TS4 trieste secolo quarto è un percorso che è stato avviato con una scommessa al buio e con pochissime risorse a disposizione. Un salto di qualità è necessario per rispondere alle aspettative e alle ambizioni che ha saputo coagulare.

 

43. Date potere alla gente. Il gioco funziona quando tutti sentono di avere il controllo del proprio ruolo. Non possiamo essere dei liberi professionisti se non siamo liberi.

Già, le ambizioni. Quasi tutte quelle che abbiamo accumulato in questi mesi nascono da un esercizio non facile, reso possibile però dal metodo degli scenari, che ha permesso ai partecipanti di concentrarsi su come concepire le crisi che stiamo attraversando nella loro dimensione di opportunità, per una trasformazione profonda e radicale della maniera in cui viviamo la nostra città. In sostanza le ambizioni sono il riflesso delle frustrazioni, delle incazzature e di una strisciante rassegnazione, che sono le reazioni più naturali a come la politica solitamente amministra la vita in comune. Come detto, il passaggio dalla rassegnazione all’ambizione non è facile; per affrontarlo serve certamente una buona dose di forza di volontà. Ma non si tratta di un problema circoscritto alle singole persone e dunque risolvibile a livello individuale. Se è vero che viviamo in una società, allora è altrettanto vero quello che scriveva Vittorio Foa in La Gerusalemme rimandata: «Politica non è solo comando, è anche resistenza al comando, politica non è, come in genere si pensa, solo governo della gente, politica è aiutare la gente a governarsi da sé».

IL FUTURO È COME UNA SCATOLA DI PALAČINKE: NOTE DAL SEMINARIO DI TS4

di Livio Cerneca


È un sabato pomeriggio di pioggia sottile. In una sala che si affaccia sul roseto sontuosamente fiorito del Parco di San Giovanni si riuniscono i tre gruppi di progettazione di TS4. Stanno per incontrare alcuni rappresentanti della cultura, dell’industria marittima, della cooperazione sociale e dell’artigianato, della scienza e dell’imprenditoria. Non capita di frequente che esperti di questi settori dialoghino tra loro e con altri cittadini, ed è ancora più raro che ciò accada nello stesso luogo e nello stesso momento. Ma TS4 ha creato le condizioni, e il seminario inizia intorno alle 14:30, con tutta la platea pronta a incalzare gli ospiti con domande e osservazioni.

Il primo a parlare è Sergio Nardini, dell’Autorità di Sistema Portuale dell’Adriatico Orientale. Un intervento tecnico e asciutto in cui vengono illustrate le potenzialità e le prospettive non solo dei bacini del porto di Trieste, ma anche dei collegamenti ferroviari e dei mercati privilegiati.

Il secondo relatore, l’agente marittimo Igor Filipcic, traccia una rotta prudente e pragmatica immaginando uno sviluppo lento, condizionato dalla realtà attuale, in cui le promesse di grandi investimenti sono solo canti di sirene che hanno già fatto sbattere sugli scogli diversi sognatori.

Con voce tonante prende poi la parola Jacopo Rothenaisler, di FIAB Ulisse, la sezione di Trieste della Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta. Il tema è quello della qualità della vita nella città, e si dimostra con facilità che con poco sforzo si possono realizzare soluzioni che conciliano la vita urbana e il benessere psicofisico delle persone.

Giancarlo Carena, della Cooperativa Agricola San Pantaleone e presidente della CNA di Trieste, modula il suo intervento tra la cooperazione e l’artigianato, e suggerisce che un maggior ricorso alle due formule potrebbe dare impulso a un’economia sostenibile e aumentare le opportunità di lavoro.

Sono ormai le cinque, e anche se oggi Trieste è piovosa come Londra e la verde San Giovanni umida come Greenwich, la pausa per rifocillare ospiti e partecipanti non è accompagnata da tazze di tè ma da bibite agli agrumi e palačinke extra-large, mercanzia di alta qualità offerta generosamente dalla Bottega de Gretta.

La seconda parte del seminario di TS4 si apre con Laura Flores, presidente dell’associazione Andandes; una triestina del Sud America che, insieme a tanti volontari, ha cura del parco pubblico di via San Michele, uno splendido giardino tra San Vito e il Colle di San Giusto. Riflessioni sulla manutenzione degli spazi cittadini, strategie di gestione partecipata, idee per ridare un senso al tempo libero di bambini e adulti, su questa linea si articola con accento ispanico il sommesso eppure accorato discorso di Laura.

Da SISSA MediaLab viene a trovarci Federica Sgorbissa, e ci mette subito davanti a numeri discriminatori: le donne, pur ottenenedo mediamente eccellenti risultati nelle materie scientifiche, non trovano poi occupazione in quell’ambito. Se Trieste è una donna, allora, per darle un futuro, bisognerà invertire anche questa tendenza.

L’operatrice culturale Simone Weißkopf, insegnante e guida turistica, lancia il suo sguardo di triestina di origine tedesca per offrire idee la cui realizzazione non richiederebbe molto sforzo, basterebbe copiarle da chi ne ha già ricavato vantaggi e successi, in campo turistico così come in quello sociale. Fin dalle scuole elementari, i progetti educativi interculturali servono a aprire le strade che conducono al quarto secolo della Trieste moderna.

La conclusione è affidata a Enrico Maria Milič dell’associazione Joseph, e la sua ispirazione ci porta sull’altipiano carsico per valutarne le grandi potenzialità nella produzione agricola, nell’ospitalità legata all’esperienza di un territorio peculiare e al recupero di tradizioni. Sembra però che, a fronte del lavoro svolto in questi anni dal GAL Carso – LAS Kras, le istituzioni non siano lungimiranti e stiano tralasciando di dare attenzione a un’area che potrebbe avere ricadute positive sull’intera città.

Il contributo di tutti gli invitati, che TS4 ringrazia di cuore per aver accettato di partecipare, è ricco, vario e complesso, materiale vivo che entrerà nella fase di progettazione ancora in atto dalla quale usciranno i regali che in autunno consegneremo alla giovane città di Trieste.

MILLE CUORI, UN SOLO BATTITO

di Sofia Pavanini

Mi sono trasferita a Trieste poco meno di quattro anni fa, per frequentare l’università. Ancora prima di arrivarci, poter studiare a Trieste voleva dire per me raggiungere un piccolo sogno, quello di cominciare il corso di laurea in lingue per interpreti e traduttori, eccellenza italiana ed europea, per il quale ero riuscita a passare il test di ammissione. A Trieste e grazie a Trieste ho imparato, come molti altri studenti che qui si trasferiscono per lo studio, a vivere da sola, a muovermi e a cogliere tante preziose opportunità.

Talvolta, quando entro o esco dal Narodni Dom, l’edificio in via Filzi che oggi ospita la Sezione di Studi in Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori, mi soffermo a pensare davanti alla targa affissa sulla facciata che commemora l’incendio dello stesso edificio perpetrato da mano fascista il 13 luglio 1920. All’epoca, l’edificio ospitava l’Hotel Balkan, vari uffici e una sala teatrale, e simboleggiava la forte presenza della comunità slovena a Trieste, e, per questo, era stato preso di mira dalla sete di annientamento e di odio di stampo fascista. In questi momenti di riflessione, mi sale un brivido a pensare che oggi, quello stesso edificio andato in fiamme, incarna uno spirito di multiculturalismo e condivisione. Il Narodni Dom è vissuto ogni giorno da centinaia di studenti provenienti da tutta Italia e da tutta Europa, che imparano a convivere, a comunicare, a mettersi nei panni degli altri. Tentiamo di capire la delicata attenzione necessaria per adattare la nostra lingua alle esigenze di chi abbiamo di fronte. Studiare le lingue, soprattutto dal punto di vista della traduzione e dell’interpretazione, vuol dire sporgersi verso l’altro, avvicinarsi al suo modo di leggere e dipingere il mondo. È la comprensione di questo fragile legame che permette di sconfiggere la mentalità di chi ci vuole tutti uguali, di chi calpesta
le minoranze e la diversità.

Il Narodni Dom è solo uno dei luoghi d’incontro presenti a Trieste, città popolata da tante anime differenti, che arricchiscono la vita della città. Luoghi che andrebbero conosciuti, ampliati e valorizzati.
Invece, negli ultimi tempi, Trieste è stata investita da alcune derive pericolose, dall’apertura della sede di Casapound alla polemica scoppiata attorno alla concessione del patrocinio del Comune al FVG Pride. Senza dimenticare l’opposizione dell’amministrazione comunale alla locandina, considerata “troppo forte”, della mostra “Razzismo in cattedra” realizzata dagli alunni del Liceo  Francesco Petrarca in occasione degli 80 anni dalla promulgazione delle leggi razziali. Si tratta di gravi passi indietro, che potrebbero sconfinare nella paura dell’altro, e quindi anche in odio e discriminazione. I diritti sono tali solo se sono di tutti, come è di tutti questa città, che deve essere resa viva dai suoi tanti cuori.

TS4 trieste secolo quarto parte proprio da qui: dalla necessità di ascoltare il battito di tante persone, di età, provenienza e formazione molto variegate, animate però dalla stessa speranza, quella di poter tornare a vivere serenamente la città, per dare una nuova forma ai suoi spazi liberando tante idee. Sono convinta che ascoltare e capire i bisogni delle persone, organizzando punti di aggregazione e di confronto, sia il modo più autentico ed efficace di fare politica nel vero senso del termine, ovvero contribuire alla vita della polis, della comunità. Le prime sedute hanno dimostrato la forza scaturita dalla diversità dei
partecipanti al progetto, che forse rappresentano anche le sfaccettature della popolazione di Trieste. È sempre emozionante entrare a contatto con persone animate da una stessa sensibilità: è un’esperienza che consente di capire che un problema può essere analizzato secondo molti aspetti diversi e portare all’elaborazione di soluzioni originali e talvolta sorprendenti.

Per me studiare lingue ha sempre voluto dire anche mettersi in gioco, e ho trovato in TS4 trieste secolo quarto l’opportunità di farlo ridando a Trieste ciò che lei mi ha regalato e che mi continua a donare ogni giorno: libertà, conoscenza e curiosità.

CONFLITTO ED INNOVAZIONE ALLA FRONTIERA: FARE SPAZIO A TRIESTE

di Riccardo Laterza

Molti osservatori concordano nell’indicare nella dimensione dei Municipi la base progettuale per la costruzione di un modello di cooperazione europea radicalmente diverso dallo stato corrente dell’Unione. E Trieste, con la sua radicata tradizione municipalista, è una città che ha molto da offrire a questa riflessione. Ciò che più colpisce non è tanto lo specifico assetto istituzionale; Trieste si donò infatti liberamente all’Impero Asburgico con la Dedizione del 1382 e da allora fino alla fine dell’Impero fu collocata in una continua tensione tra poteri locali e comando centrale, particolarmente inaspritasi con l’emergere dei nazionalismi nella seconda metà dell’Ottocento.
Balza all’occhio piuttosto la caratteristica della città come campo di sperimentazione di relazioni innovative tra quella che oggi chiameremmo la Pubblica Amministrazione e altri poteri. Non è un caso che la città emporiale, eretta dopo la concessione del Porto Franco nel 1719, si sia sviluppata con forme di governo autonome dal vecchio e decadente patriziato cittadino, dando impulso a un travolgente sviluppo economico.

L’articolo completo è stato pubblicato sul primo numero della rivista Luoghi Comuni, edita da Castelvecchi. L’intero numero è consultabile qui

«IL PORTO FRANCO HA SIGNIFICATO APERTURA, SOGNI E PROGRESSO». E OGGI?

Riportiamo un estratto dell’articolo, firmato da Lisa Corva e intitolato “Strategie d’attracco”, apparso su IL, mensile de Il Sole 24 Ore (n. 100).

A volte per progettare il futuro bisogna partire dal passato. Trieste, il più grande porto d’Italia, lo fa, tornando al 18 marzo 1719. Perché è esattamente in quel giorno che Carlo VI d’Asburgo istituì il Porto Franco. Sono passati 300 anni; Trieste è stata, anche grazie all’illuminata Maria Teresa, il glorioso porto dell’Impero austroungarico, e ora è qui, magica e quasi addormentata. Perché ripartire dal 1719? «Perché, in un momento in cui il mondo sembra chiudersi su se stesso, è importante guardare al passato e all’audacia di una decisione così moderna», spiega a IL Zeno D’Agostino, presidente del Porto di Trieste. «Nel 1719, quando ancora si pagava un dazio per andare dalla campagna alla città, il Porto Franco ha significato apertura, sogni, progresso. Ha aperto la città dal punto di vista economico, sociale e religioso. Perché non riprovarci adesso?»

[…]

 

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IL PRIVILEGIO DI TRIESTE? SECONDO MARX, NON AVERE PASSATO

Tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, l’ascesa commerciale di Trieste ha coinciso, di fatto, con il tramonto del dominio veneziano sull’Adriatico (e non solo). Ci sono tante ragioni con le quali è possibile spiegare questo fenomeno, ma ve n’è una particolarmente interessante che è stata notata, tra gli altri, nientemeno che da Karl Marx. Nel 1856, infatti, il 38enne filosofo tedesco tirava a campare scrivendo articoli di critica economica per varie testate, tra cui il New York Daily Tribune. Due di questi (che è possibile leggere qui nella versione completa in lingua inglese) affrontavano proprio il tema, allora scottante, della crescente potenza economica dell’Impero Austriaco.

Con la sua originalità e la sua capacità di visione, Marx fu capace, già all’epoca, di cogliere una caratteristica unica di Trieste: quella di non avere – al pari degli Stati Uniti d’America, come suggerisce il parallelismo dell’articolo – un passato. Di essere stata, cioè, libera da vincoli, tradizioni e appesantimenti tipici invece della secolare potenza veneziana, di aver potuto progettare praticamente da zero il proprio futuro e il proprio ruolo nello scenario internazionale. A distanza di più di 150 anni la situazione pare essersi capovolta; in meno di due secoli, infatti, Trieste ha accumulato una ‘densità’ di fatti storici, di conflitti e lacerazioni tali per cui oggi appare molto più zavorrata di quanto, di fatto, potrebbe ancora essere.

Il nostro auspicio, con TS4 trieste secolo quarto, è di fare in modo che il riferimento alla storia passata sia uno stimolo per guardare avanti, anziché per voltarsi costantemente indietro. Di stimolare cioè l’immaginazione civica e la carica progettuale che a Trieste continua ad esistere, anche se spesso fortemente limitata da preconcetti, sensi di inferiorità e scarsa capacità delle istituzioni di favorire l’innovazione e lo sviluppo.

Riccardo Laterza

 

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Il seguente estratto, tradotto in italiano, è apparso su Il Piccolo il 20 febbraio 2008.

Si può dire che il commercio marittimo austriaco ha inizio dall’annessione di Venezia e dei suoi possedimenti adriatici, avvenuta con la pace di Campoformido e confermata con la pace di Luneville. Napoleone fu dunque il vero fondatore del commercio marittimo austriaco.

Vero che, accortosi dei vantaggi che l’Austria ne traeva, ritolse on il contratto di Presburgo e con la pace di Vienna del 1800, le concessioni già date. Ma ormai l’Austria era in cammino; nel 1815 colse la palla al balzo per riaver l’Adriatico.

Il centro di questo commercio marittimo fu Trieste, che presto emulò ogni altro porto austriaco. Ora, essa vince tutti gli altri porti riuniti, Venezia compresa. Non furono i favori del Governo austriaco, né gli sforzi pertinaci del Lloyd austriaco. Al principio del secolo XVIII, Trieste era una piccola rada rocciosa, abitata da pochi pescatori: nel 1814, quando le forze francesi sgombrarono l’Italia, Trieste si era fatta porto commerciale, con 23.000 abitanti e il suo commercio superava tre volte quello di Venezia.

Nel 1835, un anno prima che il Lloyd austriaco nascesse, contava già 50.000 abitanti e, poco dopo, occupava il secondo posto dopo l’Inghilterra nel commercio con la Turchia, il primo nel commercio con l’Egitto.

Perché Trieste e non Venezia? Venezia era la città delle memorie; Trieste aveva al pari degli Stati Uniti, il vantaggio di non possedere un passato. Popolata di commercianti e speculatori italiani, tedeschi, inglesi, francesi, greci, armeni, ebrei in variopinta miscela, non piegava sotto le tradizioni. Mentre il commercio veneziano dei cereali non usciva dai vecchi rapporti, Trieste allacciava il suo destino con la stella sorgente di Odessa, e al principio del secolo XIX, escludeva la rivale dal commercio mediterraneo dei cereali. Il colpo recato alle antiche repubbliche mercantili d’Italia, alla fine del XV secolo, dalla circumnavigazione dell’Africa, si ripetè, attenuato, col blocco continentale di Napoleone.

Gli ultimi resti del commercio veneziano furono distrutti. I capitani veneziani, disperando di risorgere, trasferirono i loro capitali sulla sponda opposta, ove il commercio terrestre triestino accennava a raddoppiare di attività. Così fu Venezia stessa a determinare il trionfo di Trieste; destino comune a tutti i padroni del mare. L’Olanda creò la grandezza dell’Inghilterra, l’Inghilterra edificò la fortuna degli Stati Uniti.

Trieste, legata all’Austria, fruiva di privilegi naturali, inaccessibili a Venezia. Era lo sbocco di un Hinterland vastissimo, mentre Venezia era stata sempre un porto isolato e lontano, cui l’altrui generale inconsapevolezza aveva consentito di impadronirsi del traffico mondiale. Il prosperare di Trieste sorge dallo sviluppo delle energie produttive e dei trasporti in quel gran complesso di paesi che sta nel dominio dell’Austria.

Si aggiunga la prossimità della costa orientale adriatica, base di un cabotaggio quasi sconosciuto ai veneziani, e vivaio di una ardita razza marinara che Venezia non seppe dar mai. Come Venezia decadeva col rafforzarsi dell’impero ottomano, così Trieste saliva col prepotere dell’Austria sulla Turchia. Anche alla sua età dell’oro il commercio di Venezia soffriva delle divisioni politiche del commercio orientale. Da un lato la via commerciale del Danubio era estranea alla navigazione veneziana: dall’altro i genovesi, protetti dai greci, dominavano il commercio con Costantinopoli e col mar Nero; mentre Venezia sollecitata dai re cattolici monopolizzava il commercio della Morea, di Cipro, dell’Egitto e dall’Asia minore. Solo Trieste poteva allacciare tutto il commercio orientale col danubiano. Quanto al centro di gravità del commercio adriatico, la posizione privilegiata di venezia verrà probabilmente recuperata da Trieste, grazie all’apertura del Canale di Suez.

La Camera di Commercio di Trieste, non solo si è associata alla Società francese per il canale di Suez, ma inviò agenti nel mar Rosso e sulle coste dell’Oceano Indiano a studiarvi e promuovervi operazioni commerciali. Aperto il Canale, Trieste provvederà le merci indiane a tutta Europa. Dal triennio 1846-’48 al triennio 1853-’55, essa ebbe un incremento commerciale del 68%, assai superiore a quello della stessa Marsiglia.

Tuttavia il commercio e la navigazione triestina sono ancora ben lontani dal punto di saturazione. Si pensi soltanto alla condizione economica dell’Austria, ai suoi mezzi di trasporto arretrati, a tanta parte della sua popolazione che veste ancora pelli di pecora… Con lo sviluppo dei mezzi di trasporto il commercio triestino penetrerà all’interno.

RIPENSARE TRIESTE DAI SUOI MARGINI

La periferia di Trieste è stata piuttosto vitale fino alla fine degli anni sessanta. C’erano tutti i presupposti perché dilatasse i suoi lembi esterni verso le zone ancora poco abitate e quelli interni penetrassero invece spontaneamente nel centro cittadino. Ma non è accaduto. Al contrario, si è contratta, svuotata, è diventata ancora più periferia: negozi abbandonati, edifici degradati e lasciati all’entropia, scarsa o nulla manutenzione, diradamento del verde pubblico e dei servizi.

Da una parte tutte le leggi e disposizioni punitive nei confronti delle piccole attività, dall’altra la concessione di spazi sempre più ampi alla grande distribuzione e ai centri commerciali, hanno contribuito a desertificare persino i rioni popolari e quelli poco distanti da strade e piazze principali.

La tendenza a concentrare gli investimenti prevalentemente nella cura delle zone centrali, trascurando l’ampia fascia suburbana, è poi stata fatale.

Gli abitanti delle periferie non sono mai stati presi troppo in considerazione, e quando hanno avuto aspettative sono sempre rimasti delusi.

Lo studio dei problemi di queste aree è una delle priorità di TS4, perché le città crescono quando le opportunità e le risorse sono distribuite su tutto il territorio, non solo nel suo nucleo.

Livio Cerneca

 

foto: Paolo Carbonaio

 

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TRIESTE È SEMPRE PIÙ VUOTA?

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Trieste (1910-2018)

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Marsiglia (1910-2018)

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Rotterdam (1910-2018)

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Genova (1910-2018)

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Livorno (1910-2018)

Quello che ci interessa nei numeri sopra riportati non è tanto la loro grandezza assoluta quanto la loro variazione nel tempo. Prendendo come riferimento alcune città costiere e portuali europee che non sono metropoli, e quindi per certi versi assimilabili a Trieste, osserviamo che nel corso del XX secolo c’è stato un incremento del numero di abitanti, mai vertiginoso, in alcuni casi sensibile, in altri più trascurabile, ma pur sempre un incremento. Nella nostra città, invece, non solo la popolazione non è cresciuta, ma è addirittura leggermente diminuita. Il primo porto in Italia per movimentazione di merci si sta spopolando.

Cosa è successo? Cos’ha frenato il pur contenuto sviluppo che altrove sembra essere stato fisiologico?

La posizione geografica, favorevolissima, è stata resa critica dalla Storia del Novecento e, insieme a scelte politiche poco avvedute e all’assenza di un progetto di sviluppo organico, ha finito col diventare penalizzante.

Il XX secolo è terminato da quasi vent’anni eppure Trieste subisce ancora i suoi effetti; invece di mettersi al lavoro per valorizzare la sua naturale collocazione di punto più a nord in cui il Mediterraneo tocca l’Europa, recuperare la tradizione mercantile e industriale, nutrire l’attitudine scientifica, continua ancora a vivere in un noioso sogno di irredentismo, guerra fredda e valzer viennesi.

Trecento anni fa fu proclamato il Porto Franco di Trieste. La corona asburgica firmò l’atto nella persona di Carlo VI, ma dietro a quell’intuizione c’era stata la pressione di funzionari illuminati, scaltri operatori di commercio, maestranze locali che fiutavano buoni affari e amministratori pronti a prendersi delle responsabilità.

Oggi abbiamo bisogno di una nuova intuizione che, ne siamo sicuri, esiste già nelle idee di molti triestini.

Il compito di TS4 è di individuarla, farla crescere e contribuire a realizzarla.

Livio Cerneca

 

foto: il mercato in Piazza della Legna, ora Piazza Goldoni, nei primi del ‘900. Collezione privata. 

 

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VOGLIAMO UNA GRANDE CITTÀ, NON UNA CITTÀ GRANDE

Una grande città non è necessariamente una metropoli. Una grande città è più una questione di attitudine mentale che di grattacieli, traffico caotico e parcheggi sotterranei. È una vocazione ad accettare con curiosità alcuni rischi, uno spazio a più dimensioni pieno di opportunità favorite da un alto livello di tolleranza senza la necessità di minacciosi anatemi e divieti stringenti.

Vivere in una grande città richiede la capacità di non farsi prendere da attacchi di panico. La grande città è piena di imprevisti che possono diventare occasioni.

Livio Cerneca

 

foto: carico/scarico, di Riccardo Laterza

 

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